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— GIOVANNI PAPINI (Gian Falco) ebbe la difficile e rara virtù di scandalizzare completamente un pubblico fiorentino di conferenze. Invitato ad inaugurare l'Esposizione d'Arte al Palazzo Corsini che alcuni valorosi giovini hanno ideata per uscire dalla vecchia Promotrice, egli parlò il 28 marzo, dinanzi a signore, autorità, nobili, letterati e artisti dei Giovini e Vecchi nell'Arte. E quel pubblico, abituato alle solite frasi consacrate dell'entusiasmo ufficiale e conciliatorio, egli fece l'effetto di un violento, insolente e villano aggressore della venerabile senilità ed uno spregiatore di quella subdola politesse ch'è di rigore nella buona società, la quale, come scriveva lo Stendhal, chiama «impolitesse tout ce qui n'est pas copie».
Veramente Gian Falco non fece che ripetere, con una forma netta e cruda, quello che tutti dicono nell'intimità degli studi e fra amici, ed anzi in certi punti egli non fece che dare un'espressione pittoresca dei vecchi luoghi comuni. Ma non dispiacquero tanto le idee quanto l'audacia di averle dette senza sottintesi, in pubblico, e dinanzi agli interessati. Il nostro paese non è abituato alla franca e forte sincerità la quale non ha paura delle parole crude e non si cura dei mormorii e dei colpetti di tosse. Ce ne duole assai, non per noi, ma per lui.
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